domenica 24 giugno 2007

evergreen



La mobilità è una componente fondamentale del lowcost. La staticità è sicurezza ma anche noia, un po’ come un contratto a tempo indeterminato alle poste italiane. Per anni mi sono abituato a cambiare lavoro ogni volta che volevo. La permanenza media nello stesso posto arrivava a malapena a tre mesi e questa si poteva dividere in più fasi:

1- entusiasmo

2- intimità

3- depressione

Ovviamente il tutto terminava con una rumorosa fuga! Il trucco è starci fino a quando non sei completamente consapevole (e nuovamente) di essere sfruttato. Avere un buon ricordo delle cose è fondamentale e talvolta è meglio un buon ricordo che un presente travagliato. D’altro canto questo rifiuto delle responsabilità sembra poter essere una sorta di sindrome di Peter Pan, ma non è la paura di crescere è piuttosto una sorta di tutela. La vita è incerta ed è meglio non viziarsi troppo. Inoltre la cosa è testata, assolutamente senza rischio. Milioni di persone ogni giorno perdono un lavoro e altrettanti ne trovano e la cosa importante è sfamarsi oggi, quando hai fame, piuttosto che pensare alla settimana che segue.Ma la mobilità consente anche di fare tante esperienze, tutte diverse e magari nessuna fino in fondo, ma sicuramente con un bagaglio enorme. Il giovane lowcost è un tuttologo, sa fare tutto, male, ma tutto. Acquista sicurezza e non si ferma davanti a nulla. La vita del lowcost è come scendere la Portuense in bici con tutti i semafori a favore, però mica sul verde, bensì sul giallo e invece di frenare acceleri. Anche in discesa continui a faticare.
Da non confondere la staticità con l’ozio, mentre la prima è l’interruzione dell’evoluzione, l’ozio invece è la più alta e sublime espressione del fare senza produrre, come il giovane lowcost, che di tutto quello che fa non rimane traccia. Si è quindi invisibili ed è per questo che siamo invincibili. Chi si ferma è perduto.


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